L’ascensore

 

L’ascensore


Quando andrò in paradiso

non voglio che una campana

lunga sappia di tegola

all'alba – d'acqua piovana.


Quando mi sarò deciso

d'andarci, in paradiso

ci andrò con l'ascensore

di Castelletto, nelle ore

notturne, rubando un poco

di tempo al mio riposo.


Ci andrò rubando (forse

di bocca) dei pezzettini

di pane ai miei due bambini.

Ma là sentirò alitare

la luce nera del mare

fra le mie ciglia, e...forse

(forse) sul belvedere

dove si sta in vestaglia,

chissà che fra la ragazzaglia

aizzata (fra le leggiadre

giovani in libera uscita

con cipria e odor di vita

viva) non riconosca

sotto un fanale mia madre.


Con lei mi metterò a guardare

le candide luci sul mare.

Staremo alla ringhiera

di ferro – saremo soli

e fidanzati, come

mai in tanti anni siam stati.

E quando le si farà a puntini,

al brivido della ringhiera,

la pelle lungo le braccia,

allora con la sua diaccia

spalla se n'andrà lontana:

la voce le si farà di cera

nel buio che la assottiglia,

dicendo “Giorgio, oh mio Giorgio

caro: tu hai una famiglia.”