Stanze della funicolare

 

Stanze della funicolare


2.
Versi
 
Una funicolare dove porta,
amici, nella notte? Le pareti
preme una lampada elettrica, morta
nei vapori dei fiati – premon cheti
rombi velati di polvere ed olio
lo scorrevole cavo. E come vibra,
come profondamente vibra ai vetri,

anneriti dal tunnel, quella pigra
corda inflessibile che via trascina
de profundis gli utenti e li ha in balía
nei sobbalzi di feltro! È una banchina
bianca, o la tomba, che su in galleria
ora tenue traluce mentre odora
già l’aria d’alba? È l’aperto, ed è là
che procede la corda – non è l’ora
questa, nel buio, di chiedere l’alt.
 
È all’improvviso una brezza che apre,
allo sbocco del tunnel, con le spine
delle sue luci acide le enfiate,
fragili vene piú lievi di trine
sanguigne e di capelli dentro gli occhi
d’improvviso feriti – è d’improvviso
l'alba che sa di rifresco dai cocci
e dai rifiuti gelidi, e sul viso
scopre pei finestrini umidi un’urbe
cui i marciapiedi deserti già i primi
fragori di carrette urgono. A turbe
s’urgono gli spazzini cui gli orecchi
ha arrossato una sveglia urlando l’ora
nel profondo del sangue, neppur qua
può aver tregua la corda – non è l’ora
questa, nel caos, di chiedere l'alt.

[...]