I poeti crepuscolari

Nel quadro generale di poeti di primo ‘900 che hanno in qualche modo a che fare con D’Annunzio, possiamo senz’altro collocare anche i “Crepuscolari”.

 

Il perché della definizione “crepuscolari”.

Nel 1911 Giuseppe Antonio Borgese pubblica su La Stampa una recensione riguardo alcuni poeti contemporanei (Moretti, F.M.Martini, C.Chiaves): la loro poesia è «voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne».
Il senso di tale definizione è spregiativo: è una poesia dai toni melanconici, i cui contenuti sono le “piccole e povere cose” della triste vita borghese, “gli oggetti di pessimo gusto”, fatti e momenti quotidiani incolori, abitudinari. È l’antipoesia se pensiamo a D’Annunzio.

Per certi aspetti questi contenuti erano già presenti nella poesia di Pascoli e D’Annunzio, ma erano visti in modo molto diverso: Pascoli li trasforma attraverso il simbolismo (oggetti del mondo della campagna, oggetti di casa); D’Annunzio ne prende le distanze (disprezza il quotidiano, l’esistenza incolore), o li canta come oggetti d’arte del passato sopravvissuti (statue, soprammobili) o oggetti colorati e sinuosi (si pensi a certe descrizioni di interni con cataloghi di oggetti) che popolano le case dell’esteta (gusto liberty).

Però per i “Crepuscolari” tali oggetti sono quotidianità e restano tali; sono tristi, malinconici, prosastici, ma sono la realtà, non c’è esaltazione, non c’è costruzione di un mito, trasposizione paradisiaca estetizzante. Anzi c’è smascheramento della quotidianità, della tristezza. E tali oggetti piacciono a questi poeti, così come le atmosfere malinconiche. Così si esprime Govoni in una lettera del 1904 a Lucini (anche se tale poeta non è solo poeta crepuscolare, partecipa in parte al gusto per certe atmosfere): «ho sempre amato le cose tristi, la musica girovaga, […] le preghiere delle suore, i mendichi […], i convalescenti, gli autunni melanconici pieni di addii […], tutte le cose tristi della religione, le cose tristi dell’amore […]». Si tratta di un vero e proprio “inventario” di oggetti e situazioni crepuscolari.

Altri caratteri.

Essi prendono esplicitamente le distanze da D’Annunzio; anzi addirittura rifiutano la poesia stessa, intesa come annunciatrice di verità, apritrice di mondi, estetizzante, altisonante; e rifiutano la condizione di poeta, in quanto vate, guida: reagiscono al dannunzianesimo.

I principali poeti crepuscolari sono:

Corazzini, che è il primo poeta veramente crepuscolare; Moretti; Gozzano (che per certi aspetti supera il crepuscolarismo e per questo non si può considerare un crepuscolare in senso stretto). Pertanto nel pieno del dannunzianesimo imperante vi sono poeti che ne prendono le distanze addirittura rifiutando la poesia e la condizione di poeta:

Palazzeschi attraverso il riso (anche se non è un poeta propriamente crepuscolare).

Corazzini attraverso una poesia che si fa pianto, tristezza, che è lacrimevole.

Moretti: prosaicità; il prosaico quotidiano.

Gozzano attraverso il rovesciamento del Paradisiaco; opponendo ad esso la nuda prosasticità della vita borghese.